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GOLDEN STATE WARRIORS: COME L’ANALISI STATISTICA HA RIVOLUZIONATO IL MODO DI GIOCARE IN NBA

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L’analisi dei dati ha trasformato radicalmente la NBA negli ultimi decenni, influenzando le strategie di gioco, il reclutamento dei giocatori e il modo in cui le squadre costruiscono una mentalità vincente. Tra i team che meglio hanno saputo sfruttare i “big data” nel basket, un posto d’onore spetta ai Golden State Warriors.


Dalla rivoluzione del tiro da tre punti fino alla cura minuziosa delle prestazioni individuali, la franchigia dei Golden State Warriors ha dimostrato come un approccio analitico possa portare a risultati straordinari, concretizzatisi in diversi titoli NBA.


In questo articolo esploreremo come i Warriors abbiano utilizzato l’analisi statistica per sviluppare un nuovo modo di giocare a pallacanestro, migliorando le performance dei singoli atleti e dell’intero collettivo. Inoltre, per contestualizzare l’evoluzione di tale approccio, vedremo come anche i Chicago Bulls degli anni ’90 abbiano a loro volta adottato forme di analisi, seppur meno sofisticate rispetto a quelle di oggi, per costruire un impero cestistico guidato da Michael Jordan.


La rivoluzione dei Golden State Warriors: dati e strategia

Quando si parla di “rivoluzione” nel basket moderno, si pensa immediatamente ai Golden State Warriors e all’evoluzione del tiro da tre punti.

Non si tratta soltanto di una scelta stilistica, ma di una strategia supportata da rigorose analisi statistiche.

Secondo i dati di Basketball Reference, nella stagione 2015-2016, quella del record di 73 vittorie in regular season, i Warriors tentavano in media 31,6 tiri da tre a partita, segnandone 13,1, con una percentuale di quasi il 41,6%.

Questi numeri non sono frutto del caso, bensì del lavoro di un team dedicato all’analisi delle situazioni di gioco più vantaggiose.

L’approccio statistico dei Warriors si fonda sull’idea che, a parità di numero di possessi, un tiro da tre ben costruito abbia un Expected Value (valore atteso) più alto di un tiro dalla media distanza. Di conseguenza, i Golden State Warriors hanno strutturato la propria offense in maniera tale da favorire la circolazione di palla, lo spacing (disposizione in campo) e l’individuazione di tiri aperti dalla lunga distanza.

L’analisi dei dati permette di identificare chi sono i migliori tiratori e da quali zone del campo converta con maggiore efficienza, spingendo il coaching staff a disegnare schemi ad hoc per massimizzare il rendimento.

A conferma dell’importanza della componente analitica, la squadra fa largo uso di software specializzati (ad esempio, Second Spectrum e Synergy Sports) per monitorare ogni singolo possesso, rimbalzo e passaggio.

Questi sistemi raccolgono milioni di dati e forniscono modelli predittivi in grado di suggerire tendenze nelle scelte dei giocatori avversari, anticipando la distribuzione dei tiri e suggerendo match-up difensivi più vantaggiosi.


Miglioramento delle performance individuali e di squadra

L’analisi dei dati non si limita all’elaborazione di strategie di tiro, ma si concentra anche sullo sviluppo dei singoli giocatori. Stephen Curry, considerato da molti il miglior tiratore nella storia della NBA, ha beneficiato in maniera evidente della consulenza statistica dello staff dei Warriors. Le sue sedute di allenamento sono programmate sulla base di indicatori precisi: zone di campo in cui migliora la sua percentuale di realizzazione, tempi di rilascio del tiro e velocità di esecuzione. Curry è arrivato a segnare 402 triple nella stagione 2015-2016, superando il suo stesso record di 286 triple dell’annata precedente.

Secondo i dati della NBA ufficiale, il suo True Shooting Percentage (che tiene conto di tiri da due, da tre e tiri liberi) si è stabilizzato a oltre il 66% in quegli anni, un risultato straordinario per un esterno.

Anche Klay Thompson ha beneficiato di un rigoroso studio delle sue abitudini di tiro. I dati raccolti evidenziano che gran parte dei suoi canestri da tre punti avvengono dopo un massimo di due palleggi e in situazioni di catch-and-shoot (ricezione e tiro immediato).

Di conseguenza, lo staff dei Warriors ha disegnato schemi offensivi in cui Thompson riesce a liberarsi dai blocchi, ricevere la palla e tirare in un tempo ridotto, ottimizzando la sua efficacia.

Nel 2016, Klay ha stabilito il record di punti segnati in un singolo quarto (37 punti), un risultato che, secondo gli analisti, è stato reso possibile proprio dal lavoro di raffinamento nelle situazioni di tiro rapido.

Ma il miglioramento non riguarda solo i “Splash Brothers”.

Ogni giocatore del roster ha a disposizione analisi dettagliate per identificare le proprie lacune e programmare un piano di allenamento.

Per esempio, Draymond Green è stato incoraggiato a sviluppare il tiro da fuori e a migliorare la selezione dei passaggi, diventando un vero e proprio playmaker aggiunto.

Secondo i dati di NBA Advanced Stats, dal 2014 al 2019 Green ha mantenuto una media di oltre 6 assist a partita, con un picco di 7,4 nella stagione 2016-2017.

Quest’evoluzione deriva in gran parte da un focus analitico sul suo contributo a livello di creazione di gioco e impatto difensivo.


L’impatto sui risultati: titoli e record

L’adozione di metodi analitici non ha tardato a produrre risultati tangibili. I Golden State Warriors hanno conquistato il titolo NBA nel 2015, 2017 e 2018, qualificandosi alle Finals per cinque anni consecutivi (dal 2015 al 2019).

Nella stagione 2015-2016, i Warriors hanno stabilito il record assoluto di vittorie (73) in regular season, superando i 72 successi dei Chicago Bulls della stagione 1995-1996.

Sebbene i Warriors abbiano poi perso le Finals contro i Cleveland Cavaliers, rimane il fatto che un sistema basato sull’analisi dei dati abbia saputo mettere in campo un’efficienza offensiva e difensiva fuori dal comune.

Non solo: grazie alla “data-driven strategy”, Golden State ha potuto resistere meglio agli infortuni dei suoi giocatori chiave.

Il monitoraggio dei carichi di lavoro, dei parametri atletici e dei minutaggi in campo, infatti, ha aiutato lo staff a gestire con più cautela i momenti in cui Stephen Curry o Klay Thompson soffrivano di piccoli acciacchi, limitando il rischio di aggravare la situazione.

L’efficacia di questo approccio ha contribuito a mantenere sempre alto il livello di competitività della squadra, anche in situazioni critiche.


I Chicago Bulls di Michael Jordan: gli albori dell’analisi

Seppur in una forma meno sofisticata rispetto a oggi, anche i Chicago Bulls dell’era Michael Jordan hanno utilizzato l’analisi dei dati per dominare la NBA negli anni ’90.

Durante quel periodo, molte squadre si basavano ancora principalmente su statistiche “tradizionali” (punti, rimbalzi, assist, percentuali di tiro), ma i Bulls iniziarono a prendere in considerazione parametri più specifici, come la distribuzione dei tiri e il ritmo (pace) di gioco.


Uno degli esempi più noti riguarda l’approccio del coach Phil Jackson, che insieme al suo staff analizzava il cosiddetto “Triangle Offense” per massimizzare i possessi di Michael Jordan e Scottie Pippen nelle zone di campo dove erano più efficienti. In particolare, i Bulls cercavano di sfruttare spazi e mismatch per favorire l’uno contro uno di Jordan, ricorrendo a una disposizione in campo che consentisse movimenti continui lontano dalla palla.

Pur non disponendo delle tecnologie avanzate di oggi, l’idea di fondo era la stessa: far emergere i dati necessari per creare un sistema offensivo fluido e per limitare i punti di forza delle difese avversarie.

I risultati, ovviamente, parlano da soli: i Bulls di Jordan hanno vinto sei titoli NBA in otto anni, tra il 1991 e il 1998, stabilendo un record di 72 vittorie nella stagione 1995-1996, superato, come detto, soltanto nel 2015-2016 dai Warriors.


L’analisi dei dati si è rivelata un autentico “game-changer” nel mondo della NBA, e i Golden State Warriors ne sono la testimonianza più evidente.

L’integrazione di strumenti di statistica avanzata, software di tracciamento delle prestazioni e metodologie di allenamento personalizzate ha permesso ai Warriors di proporre un nuovo tipo di basket, diventando una delle squadre più dominanti dell’ultima decade.

Oltre alle vittorie e ai record, l’approccio data-driven ha avuto un impatto significativo sui singoli giocatori: Stephen Curry è diventato l’epicentro dell’evoluzione del tiro da tre punti, Klay Thompson e Draymond Green si sono affermati come pedine fondamentali in entrambi i lati del campo, e la squadra nel suo complesso ha saputo sfruttare al meglio le proprie risorse.


Se si guarda indietro agli anni ’90, ci si rende conto di come la “visione” dei Chicago Bulls di Michael Jordan sia stata una sorta di precursore, pur con mezzi meno tecnologici.

Oggi, la potenza dei big data nel basket ha raggiunto una maturità senza precedenti, e ogni franchigia di vertice investe in analisi e modelli predittivi per restare competitiva. I Golden State Warriors, dal canto loro, rimarranno sempre un esempio di come l’unione di talento, mentalità vincente e scienza dei dati possa cambiare per sempre il modo di concepire la pallacanestro.

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